Come si produce un distillato, in poche parole
Rum, Brandy, Cognac, Gin, Vodka (e molti altri), la lista dei distillati non è infinita, ma è decisamente lunga. Per degustare un distillato ci vuole molto allenamento ed un’alta padronanza delle proprie papille gustative. Agli aromi della produzione, che potranno ricondurre al sapore di foglie, erba, fiori, torba, tabacco e cuoio (a seconda del distillato), si sommano a quelli più complessi dell’invecchiamento che potranno arrivare fino al sapore affumicato, al sentore di crema, di frutta cotta, di burro, di mallo di noce e di legno. Ma ancora prima di sapere cosa dovremmo aspettarci, al naso ed in bocca, è fondamentale avere, come minimo, una vaga idea del lavoro che c’è dietro: la distillazione, processo che “crea” alcool a partire da una materia prima che inizialmente non ne aveva.
Magia? Non esattamente.
Come: l’alambicco non è (solo) roba da alchimisti
Grazie alla creazione dell’alambicco, che era già in uso presso gli Egizi fin dal II secolo a.c., ancora oggi vengono prodotti distillati di altissima qualità. Le tecniche di distillazione sono in continua crescita, ma senza questo prezioso ed antico strumento oggi non sarebbe possibile produrre grappe, rum, mezcal e tequila.
L’alambicco è composto da 3 parti che lavorano in perfetta sintonia tra loro.
In primo luogo: la caldaia è il vano in cui viene sistemato il prodotto fermentato che si vuole distillare. Sotto di essa è attaccata la sorgente di calore, uno spazio in cui viene messa la sostanza calda che potrà essere acqua o vapore. In antichità, nella sorgente di calore veniva messo il fuoco vivo, ma l’imprevedibilità di questo elemento e il sapore bruciato che talvolta conferiva al distillato, fecero in modo che il suo uso venisse abbandonato in favore del più delicato “bagnomaria”.
Sopra la caldaia c’è il capitello, detto anche duomo o elmo, che potrà essere di varie forme e che ha il compito di far passare o meno determinati vapori alcolici, a seconda della loro temperatura di evaporazione. Il collo di cigno è la parte incurvata dell’alambicco, è rivolto verso il basso per sfruttare la forza di gravità nell’evitare il ritorno dei vapori alcolici.
Infine c’è la serpentina di raffreddamento che condensa i vapori alcolici per ottenere finalmente il distillato.
Distillazione sì, ma quale?
Per distillare un prodotto fermentato, esistono due metodi: la distillazione discontinua e quella continua.
Nella distillazione discontinua, era possibile effettuare un’unica distillazione per volta e quando il liquido si esauriva era necessario ricaricare la caldaia con nuova materia prima. Per ottenere un buon distillato, il prodotto doveva seguire il processo dell’alambicco diverse volte. Da questo pare che derivi il termine “Quintessenza” legato agli alcolici, un distillato prestigioso e di grande qualità, infatti, subiva il processo di distillazione per cinque volte (era il caso di molti whisky scozzesi).
Il metodo discontinuo viene utilizzato ancora oggi, ma la prima porzione di liquido distillato (detta “testa”) viene buttata via come imposto dalla legge, in quanto contiene eccessive quantità di alcool metilico, molto più tossico e pericoloso per la salute rispetto al corrispettivo “etilico”.
Nella distillazione continua invece, fatta per mezzo di alambicchi a colonna (una tipologia nata ben più recentemente, ad inizio 1700), permette un’alimentazione continua ed una durata teoricamente infinita del processo di distillazione. Il prodotto da distillare infatti può essere costantemente aggiunto all’interno dell’alambicco, senza bisogno che quest’ultimo debba essere spento nel frattempo e il distillato ottenuto non avrà bisogno di subire ulteriori distillazioni, in quanto questo tipo di alambicco permette di separe accuratamente la parte acquosa, da quella puramente alcolica.
In fin dei conti, la distillazione è qualcosa che, data la sua complessità e il suo “potere” di rendere bevanda alcolica (o essenza, ma questa è un’altra storia) un qualsiasi normale prodotto vegetale, è sempre stato associato alla magia, a qualcosa di misterioso ed esoterico, quasi divino. Ma come abbiamo visto c’è dietro tanta tecnica, una procedura fatta con uno strumento molto particolare ed ovviamente mani sapienti di persone abili, con savoir faire da vendere.
Oggi più di ieri, abbiamo un consiglio per voi…. occhi aperti, ci si legge (e ci si vede) in giro!
Il team dei GastroWriters